Intelligenza Artificiale: come cambia il mondo del lavoro? O meglio, come dobbiamo prepararci al cambiamento epocale? Quali le strategie da seguire e le decisioni da cavalcare?

Intelligenza Artificiale, in attesa dell’epoca del “post-lavoro”

L’Articolo 1 della Costituzione italiana recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”.
Le politiche del lavoro sono state sempre centrali nelle strategie di sviluppo dei governi delle nazioni europee. La società contemporanea si può definire fondata sul lavoro. Per la prima volta però, dopo un secolo di assoluta centralità, il concetto di lavoro viene messo in discussione dall’Intelligenza Artificiale. Tanto che alcuni sociologi hanno definito il prossimo trentennio come l’epoca del “post lavoro”.

Molte di queste riflessioni hanno visto come protagonista Yuval Noah Harari, l’autore di vari bestseller, come Sapiens, Da animali a dèi e Homo Deus. Che si chiede come l’essere umano potrà re-inventare se stesso nell’epoca post-lavoro che sembra profilarsi all’orizzonte.

Prima di negare o confermare scenari “apocalittici” nel mondo del lavoro e delle organizzazioni, è fondamentale verificare se fenomeni simili si siano già verificati. E con quali altri fenomeni si confronterà la sempre maggior diffusione dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende e non solo.

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Cosa ci aspetta nei prossimi decenni?

Riguardo il primo punto, si può tranquillamente affermare nulla di nuovo sotto al sole. L’innovazione tecnologica ed i processi di automazione hanno già “rivoluzionato”, nel secolo scorso, il settore primario (l’agricoltura) e il settore secondario (l’industria).

I processi lavorativi e le competenze necessarie a presidiarli sono profondamente cambiati, ma il lavoro ed i lavoratori non sono scomparsi. In Italia, secondo i dati Istat, nel 1977 c’erano 19 milioni e mezzo di occupati, Dopo quarant’anni di evoluzione tecnologica continua, ve ne sono più di 23 milioni. Ciò evidenzia che il progresso tecnologico ha degli impatti significativi sul mercato del lavoro, ma classificarli solo come negativi per l’occupazione può essere una conclusione frettolosa.

La novità di questo fenomeno è che per la prima volta l’innovazione tecnologica, l’A.I. (Artificial Intelligence) nello specifico, sta trasformando il settore del Terziario avanzato. Ha iniziato ad automatizzare con algoritmi molte mansioni appannaggio dei “colletti bianchi”. Da qui la previsione, fondata, che le intelligenze artificiali, in un futuro non troppo lontano, saranno in grado di sostituire l’uomo in lavori cognitivamente significativi.

Un’area da “allenare” sarà

la gestione del cambiamento e la necessità

dell’apprendimento continuo.

Reinventarsi un ruolo grazie alla formazione specializzata

Rispetto alle due precedenti rivoluzioni tecnologiche, questa terza richiederà un forte upgrade di competenze nei lavoratori. Coloro che svolgono una mansione che può essere presidiata da un algoritmo, se vorranno ricollocarsi nella propria azienda, o in generale nel mercato del lavoro, dovranno acquisire nuove conoscenze e sviluppare capacità molto diverse da quelle acquisite finora.

Per i contadini dei primi dell’Ottocento fu relativamente facile trovare lavoro nelle fabbriche, così come successivamente per gli operai trovarlo negli uffici, grazie a lavori routinari. In questo caso, il passaggio sarà sicuramente più complesso ma non impossibile. In questa transizione, un ruolo fondamentale verrà svolto dalla formazione che aziende, associazioni datoriali e sindacali, governative e privati, metteranno a disposizione dei lavoratori.

Intelligenza Artificiale formazione

L’invecchiamento dei lavoratori

L’impatto dell’Intelligenza Artificiale nelle aziende andrà valutato anche alla luce di un altro fenomeno importante che caratterizza e caratterizzerà sempre più l’Europa e l’Italia: il calo demografico, accompagnato da un inesorabile invecchiamento della popolazione. Se da una parte potrebbe avere un effetto lenitivo rispetto alla minore richiesta di lavoro “cognitivamente evoluto”, dall’altra ri-adeguare, dal punto di vista delle competenze, lavoratori nella fascia 50-68 anni rappresenterà una sfida complessa. Una sfida per dimensioni quali-quantitative mai affrontata fin’ora.

In questa sfida un ruolo centrale lo avranno la formazione e la riqualificazione continua, in quanto il ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate sarà sempre più rapido. Tuttavia, nell’area euro, solo il 10% della forza lavoro ha partecipato a qualche iniziativa formativa nel 2017, e tale percentuale cala drasticamente con l’anzianità anagrafica (vedi l’articolo del Il Sole 24ore).

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Come affrontare le nuove professioni? Le soluzioni in azienda

Un’area fondamentale da “allenare” nei lavoratori nel prossimo decennio sarà la gestione del cambiamento e la conseguente necessità dell’apprendimento continuo. Studi accreditati affermano che il 65% dei bambini che entrano oggi nella scuola primaria svolgerà professioni che non esistono ancora. Questo significa che molti lavoratori saranno coinvolti in processi di cambiamento professionale. Ci sarà bisogno di un sistema capillare di servizi capaci di offrire ai lavoratori un sostegno e un’assistenza efficace nella transizione dal vecchio al nuovo lavoro.

Cosa possono fare le aziende per governare questo cambiamento? Intanto cercare di comprendere come l’Intelligenza Artificiale impatterà sulle proprie famiglie professionali. E, basandosi sulle distribuzioni demografiche dei propri lavoratori, iniziare ad immaginare gli scenari di travaso. Da una professione che diverrà obsoleta bisognerà passare ad una che invece assumerà un ruolo prioritario, con i conseguenti processi formativi connessi.

Gli italiani e l’Intelligenza Artificiale

Per capire come l’Intelligenza Artificiale viene percepita nel nostro Paese, Citrix ha realizzato con l’Istituto OnePoll una Ricerca. Ha intervistato un campione di 500 lavoratori, tra i 18 e i 55 anni di età. La maggior parte degli intervistati (68,2%) pensa che l’Intelligenza Artificiale influenzerà significativamente il loro modo di lavorare nei prossimi cinque anni. E il 50,7% immagina che comunque l’impatto sia positivo.

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Solo il 7% crede che le ricadute sulla propria attività saranno negative. Mentre il 41,64% sostiene che i risvolti possibili saranno sia positivi che negativi. In particolare, quasi la metà del campione (49,60%) crede che i lavoratori saranno in grado, con il supporto dell’Intelligenza Artificiale, di svolgere mansioni più complesse. Ma – curiosamente – solo il 3,8% pensa che si verranno a creare nuovi posti di lavoro.

Quello che gli italiani vogliono, è riuscire a sviluppare competenze precise. In particolare, per il 43,8%, queste competenze riguardano la tecnologia, mentre il 31,4% sceglierebbe la creatività. Solo il 10% una soft skill come l’empatia.

I lavoratori italiani pensano di non essere abbastanza preparati per riuscire a padroneggiare una tecnologia destinata a diventare sempre più complessa nel giro di pochi anni. Questa percezione potrebbe cambiare se si adottassero ambienti di lavoro dove le soluzioni It siano facilmente integrate. Avviare quanto prima queste riflessioni non significa solo cercare di tutelare i dipendenti, ma l’azienda stessa. Che in tal modo acquisirà la consapevolezza, fondamentale, del setting di competenze necessarie per continuare a rimanere competitiva.

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