Nonostante la correlazione positiva tra un elevato tasso di gender diversity dirigenziale e il successo di un’azienda, non sempre e non ovunque la leadership femminile è una realtà consolidata.
Ma quante sono le manager donne ai vertici delle aziende italiane? Un quesito che si sono posti in molti, soprattutto negli ultimi anni, da quando si è fatta più pressante la necessità di adeguarsi ai numeri che giungono dagli altri paesi dell’Unione Europea.
Secondo una ricerca condotta un anno fa da Boston Consulting Group e Valore D (“Women at the top”), nel 2017 solo il 22% dei manager era donna (la media Europa era del 29%). I punti percentuali si abbassano ulteriormente se facciamo una distinzione tra aziende italiane e multinazionali con sede in Italia. Nelle prime le donne dirigenti sono il 38%, nelle seconde raggiungono quasi la parità. Un divario che forse si può considerare una sorta di prova del nove: il gap tra l’Italia e gli altri Paesi dipende prima di tutto dalla cultura aziendale, e quindi dalla cultura tout court.
Dal dato citato poco sopra, però, si evince anche altro. A quanto pare, nemmeno nel resto d’Europa il gap tra donne e uomini nelle posizioni apicali è stato colmato. Il problema, dunque, è più pervasivo di quanto si creda.
Leadership femminile in crisi: capire le cause
Capire le cause della mancata valorizzazione della leadership femminile in Italia è una faccenda complessa. Sempre secondo “Women at top”, nel nostro Paese rispetto agli uomini le donne incontrano il primo ostacolo già all’ingresso nel mondo del lavoro, anche perché tendono a ricoprire posizioni meno tecniche e più focalizzate sulle aree di staff. E perché sono più formate…
L’“ostacolo” legato alla formazione personale può sembrare un paradosso, perché in Italia sono proprio le donne ad essere più formate rispetto agli uomini. Ormai dagli anni Novanta le laureate hanno superato stabilmente i laureati, e oggi si assestano al 55%. Un dato più alto di quello di molti altri Paesi, come ad esempio la Gran Bretagna. Ma il percorso formativo scelto dalle ragazze è raramente tecnico o scientifico. A partire dagli studi secondari superiori, le donne prediligono le materie umanistiche, e ancora oggi in Italia gli uomini ingegneri rimangono il doppio delle loro colleghe.
Va da sé, però, che le donne manager hanno mediamente un più alto livello di istruzione degli uomini (19% delle donne intervistate ha conseguito un dottorato o un master rispetto al 9% degli uomini). In sintesi, le donne studiano di più ma lavorano di meno, e per raggiungere una posizione al vertice si formano più del doppio dei loro pari di sesso opposto.
Il report del 2018
“Women in business”, il report 2018 redatto da Ria Grant Thornton, uno dei principali network di consulenze e revisioni nel mondo, conferma la situazione italiana, pur sottolineando piccoli passi avanti. Il report ha analizzato i risultati di 5000 interviste a CEO e alti dirigenti, sia uomini che donne, in 140 paesi del mondo.
Secondo il report, quest’anno le imprese che hanno almeno una donna in ruoli di senior leadership sono aumentate rispetto al 2017, passando dal 66% al 75% su scala mondiale. Ma numericamente parlando, ai vertici aziendali ci sono sempre più uomini.
Con il 71% di presenze femminili negli organi decisionali aziendali e 34% di proporzione nei medesimi organi rispetto alla presenza maschile, l’Italia migliora rispetto all’anno scorso e si conferma tra le primi 10 nazioni al mondo, mentre il dato medio nel vecchio continente resta al 28% circa.
Le politiche a sostegno delle donne in azienda, siano esse part-time, permessi parentali o parità di salario, da sole non bastano. C’è bisogno di una rivoluzione della cultura manageriale.