Lo smart working, o lavoro agile, è una realtà professionale sempre più necessaria della società moderna che in Italia ha stentato a decollare. Ma forse il panorama lavorativo sta finalmente cambiando.

Se prima lo standard era quello di recarsi sul posto di lavoro e trascorrervi un determinato numero di ore, adesso è possibile rimanere in contatto con colleghi e datori di lavoro in ogni momento, grazie alla nuova tecnologia che ci permette di essere sempre connessi. Lo smart working, o lavoro agile, sembrerebbe quindi la soluzione per un futuro lavorativo efficiente e di successo.

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Cosa è lo smart working?

Per smart working s’intende una modalità di lavoro secondo la quale una parte dell’attività professionale viene svolta al di fuori dell’azienda. Può trattarsi di un pomeriggio, alcuni giorni a settimana, in cui il lavoratore esce dai locali aziendali e rimane attivo tramite dispositivi mobili senza avere una postazione fissa. A patto che l’attività prestata ovviamente si inserisca sempre nel rapporto di lavoro subordinato, senza superare i limiti di durata massima dell’orario di lavoro stabiliti per legge.

Il focus si sposta su ‘chi sei-cosa fai’ rispetto a

‘quando entri-quando esci-dove sei’.

A che punto è l’Italia?

Secondo una stima del Sole 24Ore, nel 2022 il 65% della forza lavoro europea (123 milioni di individui), sarà composta da mobile workers (“lavoratori mobili”). In Italia questa modalità di lavoro interesserà 10 milioni di persone.

Se per smart working intendiamo il lavoro da casa per uno o due giorni a settimana, allora il nostro Paese non è poi così mal messo. Secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, oggi si contano 480mila smart worker, circa il 12% di chi – per tipologia di lavoro e strumentazione informatica – dispone dei requisiti necessari per lavorare in modo agile. Un dato in continuo aumento, con una crescita del 20% rispetto all’anno passato.

smart working italia

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Il nuovo che avanza

Ma lo smart working è molto di più, è un nuovo approccio al tradizionale modo di lavorare e di collaborare all’interno di un’organizzazione. E presuppone significativi cambiamenti culturali e organizzativi. In Italia l’interesse c’è, ma non è ancora matura una nuova cultura manageriale, per cui solo una piccola percentuale degli addetti si può definire smart worker.
Prevale ancora l’idea di voler controllare il dipendente, di tenerlo ancorato alla sedia. Come se la sua produttività fosse direttamente proporzionale alle ore di lavoro passate di fronte allo schermo. Quando si mette il lavoratore al centro dell’organizzazione, gli si conferisce autonomia e responsabilità. E questo vale anche  per la scelta del luogo, degli orari e degli strumenti con cui svolgere le proprie mansioni.

Tre fattori indispensabili

Cambiamento ai vertici

I dirigenti, quindi, devono essere i primi a ricevere una formazione adeguata che permetta poi loro di determinare un approccio “smart” al lavoro nell’azienda. La spinta al cambiamento deve comunque partire dai vertici aziendali, che sono spesso i primi a non conoscere le potenzialità del lavoro agile. Quel che occorre alle aziende italiane, quindi, è una visione del futuro più previdente.

Nuovi spazi pensati per una nuova organizzazione

Ogni azienda dovrebbe dotarsi di un sistema digitale adeguato, investendo in uffici ben strutturati ed efficienti. E’ necessaria dunque un’organizzare open space che preveda il concetto di “scrivanie nomadi”, che portano anche a un’efficienza dei costi.
Disporre di postazioni mobili abitua i dipendenti all’idea di doversi spostare dalla propria scrivania, e quando arriverà il momento di portare avanti la propria attività fuori dall’ufficio (come per esempio a casa), saranno già pronti.

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Nel resto d’Europa

Il Nord Europa è già molto più avanti di noi. Il lavoro agile è più diffuso perché esiste una mentalità culturale che considera il lavoro da casa impegnativo e serio quanto quello in ufficio. Se in Italia non si scardina questa concetto di “sorveglianza” del lavoratore, sarà molto arduo fare il salto di qualità.

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